Giovanni Spadolini

Oggi sarebbe al suo posto: nel Partito Repubblicano Italiano

Giovanni Lazzara*

Il 21 giugno, Giovanni Spadolini, il Presidente, avrebbe compiuto 88 anni. Non ho titoli né meriti per celebrarne la grande lezione politica che, attraverso il primato della cultura e la stella polare della moralità, ne ha fatto un protagonista positivo ed assoluto della Repubblica. Ho, però, tanti ricordi.

Il giudizio sul suo ruolo, delicato ed essenziale, nella storia italiana durante il delicatissimo crocevia dei primi anni Ottanta, soprattutto nel fronteggiare l’emergenza eversiva e quella internazionale, la questione morale e la perenne crisi economica, è affidato agli storici.

Per la mia generazione, però, per chi cioè si avvicinò al movimento repubblicano con i calzoni corti ed in anni in cui l’impegno giovanile era più attratto dalla protesta che dall’elaborazione critica e costruttiva, il Presidente rappresentò un punto di riferimento irrinunciabile per rigore, lucidità, carisma, serietà, competenza e abnegazione.

Ecco perché oggi, dopo tanti anni e dopo che il PRI ha vissuto vicende alterne ma mai ha rinunciato all’orgoglio di appartenenza all’ideale repubblicano, il bisogno di ricordarlo non può essere disatteso.

Dal partito della Ragione al partito della Democrazia, il Pri deve moltissimo a Spadolini non solo per i consensi elettorali che seppe intercettare ma soprattutto per quella idea di rigore che non confonde la necessità del compromesso politico, essenziale per il dialogo con le altre forze politiche, con l’opportunismo da rendita di posizione, né cede il passo alle lusinghe del ruolo: "Si va al Governo, non al potere: e sempre con le valigie pronte!", ammonì il Presidente nel discorso sulla fiducia al primo governo Berlusconi, nel 1994.

L’intransigenza della posizione politica ancorata ad un programma coerente con la nostra cultura, il senso innato del posizionamento politico che andava ben oltre il collocamento contingente nell’ambito delle alleanze, la forza delle idee ed il disprezzo della demagogia erano, in quegli anni, esempi trascinanti per chi si avvicinava ad un partito che non rappresentava certo un’opzione legata alla moda del momento ma piuttosto l’adesione ideale a quella certa idea dell’Italia che rimane l’intramontata frontiera di tutti i Repubblicani.

"Partito aperto … senza chiusure settarie e senza residui teologici… il solo degno di rilanciare il patto sociale, la convergenza fra lavoratori, imprenditori e Stato intorno ai problemi di sviluppo di una società travagliata da squilibri, ingiustizie e tensioni tali da distruggere tutto se non aggrediti e risanati in tempo. Partito che interpreta i valori del merito, della competenza e della professionalità; partito che può attraversare tutte le tempeste della questione morale senza nulla da temere; modello anche nella sua gestione artigianale interna, mai abbastanza povera", così, il Presidente nella relazione al Congresso nazionale del 1981.

Dopo oltre trenta anni, la sua visione rimane attuale e lucida come quella sulla cosiddetta antipolitica di cui tanto si parla, oggi, senza considerare che essa rappresenta un male antico della nostra democrazia. "Fenomeni come il qualunquismo antiparlamentare, l’obiezione fiscale, l’antimilitarismo di un certo tipo contro Forze armate democratiche, l’indiscriminato attacco ai giudici non rimangono senza segno. Un segno lo lasciano: negli apparati che reagiscono, nel migliore dei casi con la chiusura e l’ostilità ad una vera politica di riforme, nel peggiore, con la pretesa di assumere l’autotutela dei loro interessi e della loro funzionalità". Questa, nella "Intervista sulla democrazia laica" del 1987, la sua denuncia del rischio che ad un periodo di movimentismo irresponsabile potesse seguire un contrattacco di concezioni statalistiche autoritarie che si sarebbero appropriate del movimentismo, riconducendolo all’antiparlamentarismo, espressione diretta dell’antipolitica, "che conduce inevitabilmente ad una restrizione delle libertà individuali".

Nel caos di oggi, la bussola della coerenza ideale e del primato della politica può restituire spazi di agibilità alla cultura repubblicana che non ha dovuto cedere nulla al tramonto delle ideologie e che oggi può rilanciarsi a testa alta.

Una società libera da condizionamenti ideologici ma vittima di una partigianeria esasperata, è alla ricerca di una seria proposta politica e, dunque, interessata alla coscienza critica che ebbe nel PRI il più credibile riferimento.

Per questo, se mi chiedo quale sarebbe la collocazione odierna del Presidente Spadolini non esito dal rispondermi che sarebbe al suo posto: nel Partito Repubblicano Italiano.

*già Segretario nazionale Fgr